Spente le luci delle Corner Arena dopo i doverosi e riconoscenti saluti a Merzlikins e Hofmann, si accenderanno a breve quelle delle salette riservate negli uffici della dirigenza bianconera, per calarsi sui risultati della stagione appena conclusa e porre rimedio in vista di quella che viene. Inutile dire che sia stato anno molto al di sotto delle aspettative quello che ha portato all’eliminazione, in sole quattro partite, ad opera di uno Zugo che ha faticato solo nelle ultime due, poiché le prime tutto sono state fuorchè sfide da play off. Chi si aspettava la ricetta miracolosa che nelle sfide dirette avrebbe trasformato la compagine di Ireland nel bel cigno dello scorso anno è rimasto molto deluso. Ma era lecito attenderselo? Francamente era chiedere troppo. Se per 50 giornate sono state più le cose che non hanno funzionato di quella girate per il verso giusto, il male è profondo e non lo si guarisce con una panacea. A dire il vero, molti dubbi sull’allestimento della compagine erano sorti ad inizio stagione: quanti avrebbero saputo ripetersi ai livelli del finale di stagione che ha portato i bianconeri a un nulla dal titolo? Diversi giocatori si erano espressi al di sopra del loro standard (leggi punti e rendimento dei vari Sannitz, Lapierre ecc non avvezzi a statistiche da un punto a partita: la loro propensione era per ben altri ruoli, altrettanto utili, ma diversi!).

Così, per lungo tempo, Hofmann e Merzlikins hanno nascosto la polvere sotto il tappeto: uno con un rendimento stratosferico che non si è ripetuto, l’altro con punti e prestazioni che saranno a lungo rimpianti. Ci si metta anche l’assenza per infortunio prima, tecnica? poi, di Klasen, orfano di compagni che parlassero la sua stessa lingua hockeystica, si arriva a una compagine fatta di lavoratori onesti, volenterosi, ma non di livello eccelso: galleggiare intorno alla linea era la naturale collocazione. I dissapori di una piazza esigente hanno fatto il resto: Ireland, supportato forse un po’ da lontano, subito per mancanza di alternative, sempre in bilico tra rinnovo e allontanamento anticipato, da salvatore della patria è diventato capro espiatorio; si è, forse, intestardito su scelte tecniche non condivise da tutti (vedi situazione Klasen e, chissà?, Cunti). Centrare i play off è stato il massimo raggiungibile. Ora si riparte con già tre stranieri sotto contratto: Klasen, Lapierre, Lajunen. L’assenza di Merzlikins potrebbe essere colmata da Zurchirken, unico portiere di una certa affidabilità che, chiuso a Losanna da due ingombranti colleghi, eviterebbe di usufruire di una licenza estera.

La fretta dei rinnovi di Lapierre e Lajunen non era giustificata: si poteva attendere. Ora, a meno di sanguinosi (economicamente) ripensamenti, gli spazi di manovra appaiono ristretti. Con una retroguardia da registrare, un difensore di livello appare necessario. L’arrivo di Lammer, Suri e Zangger, globalmente, potrebbero valere la partenza di Hofmann (quanto a punti), ma sul ghiaccio non pattina la … matematica! Infine, la conduzione tecnica. Pare che l’ultimo tassello da collocare sia l’allenatore. Forse dovrebbe essere il primo! Invece, ad orchestra allestita, si chiama il direttore, come fosse scontato il risultato finale dell’assemblaggio. E che dire della gestione dietro le quinte? Habisreutinger non ha mai fatto l’unanimità, anzi. Molte sue scelte sono parse di difficile comprensione. Resterà, nonostante tutto?